La guida di Ferruccio

Ferruccio
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Visite turistiche

Il castello è davvero un posto magnifico e il panorama è stupendo.
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Guarene
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Il castello è davvero un posto magnifico e il panorama è stupendo.
Le origini del centro abitato di Alba sono sicuramente pre-romane, probabilmente liguro-celtiche. Il toponimo è infatti tipico della civiltà ligure e significherebbe "città bianca"[4]. La città ottenne l'imprimatur romano[non chiaro] con l'editto del console Gneo Pompeo Strabone e venne battezzata Alba Pompeia. Come municipium romano fu inserita nella Regio IX Liguria e ascritta alla Gens Camilia. I diversi ritrovamenti romani dimostrano che nei primi 2 secoli dell'impero Alba costituì, assieme a Pollenzo e Bene Vagienna, un triangolo strategico e commerciale, creando strutture urbane di notevole interesse, tra cui l' aquedotto, per convogliare le acque in città, e la rete fognaria per scaricare i reflui nel fiume Tanaro. L'Alba romana era amministrata in modo autonomo, aveva una propria magistratura, ospitava 5 ordini di persone: i decurioni, i cittadini più facoltosi, gli augustali, cavalieri, appaltatori e liberti. Infine la plebe, divisa in collegia di arti e mestieri. Oltre al collegio dei fabbri vi erano i centonari, fabbricanti di lana e stoffe, i dendrogradi, che fornivano legname per le case e le navi. Tutto il materiale storico sull'epoca romana è conservato presso il Museo Civico di scienze naturali e storia "Federico Eusebio". Il materiale epigrafico e archeologico di Alba Pompeia descrive la vita di una classe medio-alta, consistente numericamente, formata sia da gentes romane, sia da discendenti di origine celto-ligure. L'agricoltura e l'allevamento del bestiame erano le principali attività di una parte importante dell'élite di Alba Pompeia. Lo storico Gaio Plinio Secondo descrive già l'esistenza di una tecnica agricola applicata alla viticoltura, affinata ed evoluta. La città - cinta, all'epoca da grandi mura poligonali - ospitò l'imperatore Augusto in viaggio per le Gallie e diede i natali, nel 126, all'imperatore Pertinace. Nei periodi successivi alla dominazione romana vennero costruite le mura medioevali: da quelle gotico-longobarde a quelle post-carolingie; dopo le invasioni ungaro-saracene, nel periodo comunale avvennero altre ristrutturazioni. Il perimetro urbano rimase invariato fino all'epoca moderna. La storia di Alba registra la visita di San Dalmazzo, prima del 5 dicembre 254, data del suo martirio, aiutato da San Giovanni Presbiterio nella conversione dei pagani. Anche San Frontiniano[5], nativo di Carcassonne, compare ad Alba, sul finire del III secolo: di ritorno da un pellegrinaggio a Roma si ferma ad Alba e libera una ragazza dal demonio. Il prefetto della città, stranamente infuriato, lo cattura all'uscita di Alba e lo fa decapitare. Il retaggio di un'antica tradizione culturale, che riconosce San Frontiniano protettore dei bambini, ha portato le mamme dei bimbi ammalati a compiere per 9 volte il giro della chiesa dedicata al santo, supplicandone la guarigione. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, nel 490 la città venne saccheggiata dai Burgundi seguiti, nel 640, dai Longobardi di Rotari e dai Franchi di Carlo Magno, che crearono le condizioni per lo sviluppo del feudalesimo. A causa delle devastazioni subite e dei saccheggi si decise di scegliere il vicino paese di Diano come sede amministrativa perché, grazie alla sua posizione naturale, era più difficile da conquistare. Le successive incursioni dei Saraceni impoverirono a tal punto la diocesi di Alba che si giunse a sopprimerla e a unirla a quelle di Asti e Savona. Le mura medioevali della città rappresentavano un notevole sistema di difesa: costruite su un basamento alto oltre 2 metri, avevano mezzo metro di spessore, erano munite di contrafforti e torrioni, per tutto il loro perimetro erano circondate da un fossato. Le porte della città rispecchiavano le vie di accesso: a nord Porta Tanaro, a sud Porta San Martino, a est Porta del Soccorso o Porta Cherasca, a sud-est Porta San Biagio, a ovest porta Castello. Ogni porta disponeva di una o 2 torri, per il corpo di guardia e per i funzionari addetti alla riscossione dei pedaggi. Grazie all'espansione territoriale del comune, Alba vide il formarsi di 7 "Camparie" e 6 castelli, costruiti a formare una corona sulle colline adiacenti, con funzioni difensive. Nello stesso periodo in città vennero edificati monasteri, chiese, 6 ospedali. L'ospedale di San Lazzaro fu costruito per la cura dei lebbrosi e delle malattie infettive. Un'antica donazione obbligava a lasciare, ogni anno, 2 soldi astesi, oppure uno staio di vino, ai poveri infermi. L'ospedale del Santo Spirito del Ponte si trovava vicino alla Porta Tanaro e apparteneva ai canonici agostiniani dell'abbazia di Ferrania. L'ospedale di Sant'Antonio curava le malattie del fuoco sacro, malattia epidemica, all'epoca molto diffusa. Un quarto ospedale, dedicato a San Marco, si trovava nel luogo dov'è edificato il Cottolengo. Proprietari erano i frati gerosolimitani o cavalieri dell'ordine di San Giovanni di Gerusalemme. A questo periodo risale lo stemma di Alba in cui appare una croce rossa in campo argento. Nel 1259 Alba si alleò con Carlo I d'Angiò, riuscendo a gestire le controversie con la vicina Asti, ma il periodo era denso di rivalità e di mancate promesse, tra le famiglie dei Solari guelfe e ghibelline, che si contendevano il predominio sul territorio. Asti divenne "il nemico" per antonomasia, interessato a privare Alba del dominio sulla Valle del Tanaro. Emblema dell'epoca sono le torri, per di più utilizzate a carcere. Alcune di esse, a pianta quadrata, prolungano, nel tempo, il tipico aspetto medioevale della città. Nel XII secolo divenne comune e aderì alla Lega Lombarda. La maggior parte delle torri venne demolita nell'800; quella municipale venne abbattuta nel 1864; il materiale venne utilizzato per apportare modifiche all'edificio del Duomo. Il conflitto tra francesi e spagnoli, nella prima metà del '500, vide Alba teatro di scontri sanguinosi, situazione che si aggravò con l'arrivo in città, nel 1537, di Carlo V. La storia e le cronache di quegli anni registrarono numerosi scontri tra armate rivali, con gravi conseguenze su monumenti e opere d'arte, oggetto di devastazioni e saccheggi. Dopo la Pace di Cateau-Cambrésis del 1559, Alba venne ceduta ai Gonzaga di Mantova. Fu un periodo di pace relativa, anche se era impresa veramente difficile rimediare alle devastazioni che avevano impoverito il territorio. Altri danni vennero provocati da alcuni terremoti, avvenuti dal 1541 al 1549. Morto Francesco IV Gonzaga, Alba venne attaccata da Carlo Emanuele I di Savoia, che la pose sotto assedio, una prima volta il 23 aprile 1613; ma riuscì a espugnarla solo il 1º aprile 1628, dopo alterne vicende di scontri e scaramucce con i Gonzaga. Cessate le operazioni militari fu la volta della peste. Nel 1630 cominciarono a manifestarsi i primi sintomi, con conseguente calo demografico. Grazie alla nomina a provincia e con il rifiorire di fiere, feste e mercati - sospesi per decenni, a causa delle più diverse e disparate calamità - venne favorita una ripresa, che non durò molto, anche a causa delle interminabili guerre dinastiche del tempo. Quest'epoca vide fiorire una serie di attività letterarie e artistiche, tra le quali spicca l'Accademia filarmonico-letteraria, creata dal canonico Odella. Tale associazione poté vantare, nel corso dell'800, l'adesione di personalità illustri, quali Silvio Pellico e Giovanni Prati. Vennero costruiti anche nuovi edifici: l'ospedale di San Lazzaro, su disegni dell'architteto Di Robilant;, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, ricostruita in base a un progetto del conte Carlo Emanuele Rangone di Montelupo; la chiesa di Santa Maria Maddalena, su disegni del Vittone. Grazie a un considerevole esborso in denaro (3.000 lire d'argento), nel 1742, la città venne investita del feudo di Santa Rosalia col titolo di "Contessa di Santa Rosalia". Grazie a lettere scritte, dal barone Giuseppe Vernazza, all'amico e conte Guido Gaschi, erudito e archivista, emerge un'interessante visione di vita albese tra il 1779 e il 1787. Il Vernazza - che. per ottenere il titolo baronale, spese fior di quattrini, con dispiacere del padre - osserva il mondo di quell'epoca con l'occhio del borghese, poco attento ai grandi eventi che stanno mutando l'Europa del tempo. Lo stesso Vernazza, appassionato di archeologia, fu protagonista di un rinvenimento importante: il recupero, nel letto del Tanaro, di un cippo scolpito da Caio Cornelio Germano e Valeria Marcella, reperto di conservato nel Museo d'Alba. Al termine del secolo la città conobbe la Rivoluzione francese e fu una delle prime a propugnare la fede giacobina, proclamandosi repubblica e accogliendo l'entrata di Napoleone Bonaparte il 28 aprile 1796. L'avventura francese fu di breve durata, provocò alcuni lutti, profanazioni di opere d'arte e di edifici storici; per esempio, la chiesa gotica di San Domenico venne convertita in scuderia. Alla città venne richiesto di contribuire, con 123.000 lire dell'epoca, alle spese militari dei francesi; cifra spropositata, per le finanze della città, per cui Alba inviò 2 ambasciatori a discutere del provvedimento, ma uno fu fucilato. Le predette ordinanze di contribuzione alle spese di mantenimento dell'esercito francese, unite ai saccheggi di opere d'arte, alle violenze fisiche nei confronti della popolazione e, soprattutto, all'introduzione della leva obbligatoria per i giovani di età superiore ai 19 anni, da arruolare nell'Armata napoleonica (il che privava le famiglie di braccia indispensabili al lavoro dei campi) esasperarono la popolazione e indussero molti albesi (com'era accaduto in altre località delle Langhe) ad abbandonare la città e a confluire nelle formazioni d'insorgenti, cosiddetti barbets, che tentavano di contrastare i soprusi commessi dall'esercito d'oltralpe. La ricostruzione della città, dopo le devastazioni della Rivoluzione francese, fu incominciata da Carlo Felice di Savoia, che portò all'edificazione il Monastero della Maddalena, provvedendo anche alla risistemazione della via che univa Alba con Savona, passando per Cortemilia. L'urbanista e architetto Giorgio Busca[6] fu l'artefice di tale progetto e di una serie di edifici: il Teatro Sociale, Palazzo Miroglio, Via Roma e Piazza Savona. Il Busca ricoprì anche la carica di sindaco, tra 1861 e '65; vide affermarsi la borghesia nascente, i commercianti, tecnici, i professionisti che, dopo il 1848, gradualmente occuparono le cariche pubbliche, dando impulso a numerose forme di Società di Mutuo Soccorso, tra le quali quella che, fondata nel 1851, aggregava artisti e operai. Dopo la prima guerra mondiale, senza entusiasmo la città convisse con il Fascismo, intraprendendo attività fieristiche di successo. I còche gruppi di giovani - furono iniziatori, in polemica con il Palio di Asti, di una competizione fra asini. La fiera del Tartufo nacque nel 1929. Alba, durante la seconda guerra mondiale fu proclamata "repubblica indipendente". Per 23 giorni (dal 10 ottobre al 2 novembre 1944) fu la prima repubblica partigiana costituitasi in Italia, ottenendo una medaglia d'oro al valor militare, per l'intensa attività partigiana, raccontata dallo scrittore Beppe Fenoglio. Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, il maresciallo dei carabinieri di Alba, Carlo Ravera, salvò dalla deportazione numerose famiglie di profughi ebrei, lì residenti in domicilio coatto dalla fine dell'agosto 1942. Invece di procedere al loro arresto, secondo gli ordini ricevuti il 2 dicembre 1943, ne favorì la fuga, con l'aiuto della moglie e di Beatrice Rizzolio, proprietaria del mulino locale. Per questo impegno di solidarietà, il 23 gennaio 1975, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito l'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni al maresciallo Carlo Ravera, alla moglie Maria Ravera e a Beatrice Rizzolio. Nel 1948 e, soprattutto, nel novembre '94, violente alluvioni, causate dal Tanaro e da alcuni suoi affluenti, devastarono alcune zone della città. Alba è tra le Città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale, insignita della Medaglia d'oro al valor militare il 12 ottobre 1949. La città marcò il suo contrasto con il fascismo fondando la Repubblica partigiana di Alba, esistita per 23 giorni nel 1944. Medaglia d'oro al valor militare nastrino per uniforme ordinari Medaglia d'oro al valor militare «Centro delle Langhe ha vissuto l'epopea della lotta partigiana contro l'oppressore nazifascista simboleggiando l'eroismo ed il martirio di tutta la Regione. Rettasi a libertà per un mese, era poi attaccata da preponderanti forze e, con unanime decisione di popolo, preferiva alla resa offerta dal nemico il combattimento a fianco dei suoi figli militanti nelle forze partigiane. Cosciente del sacrificio, fiera nella resistenza durante lunghi mesi di lotta, superbamente confermava il retaggio delle centenarie tradizioni di valore guerriero. Alba, 8 settembre 1943 25 aprile 1945» 2 ottobre 1949
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Alba
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Le origini del centro abitato di Alba sono sicuramente pre-romane, probabilmente liguro-celtiche. Il toponimo è infatti tipico della civiltà ligure e significherebbe "città bianca"[4]. La città ottenne l'imprimatur romano[non chiaro] con l'editto del console Gneo Pompeo Strabone e venne battezzata Alba Pompeia. Come municipium romano fu inserita nella Regio IX Liguria e ascritta alla Gens Camilia. I diversi ritrovamenti romani dimostrano che nei primi 2 secoli dell'impero Alba costituì, assieme a Pollenzo e Bene Vagienna, un triangolo strategico e commerciale, creando strutture urbane di notevole interesse, tra cui l' aquedotto, per convogliare le acque in città, e la rete fognaria per scaricare i reflui nel fiume Tanaro. L'Alba romana era amministrata in modo autonomo, aveva una propria magistratura, ospitava 5 ordini di persone: i decurioni, i cittadini più facoltosi, gli augustali, cavalieri, appaltatori e liberti. Infine la plebe, divisa in collegia di arti e mestieri. Oltre al collegio dei fabbri vi erano i centonari, fabbricanti di lana e stoffe, i dendrogradi, che fornivano legname per le case e le navi. Tutto il materiale storico sull'epoca romana è conservato presso il Museo Civico di scienze naturali e storia "Federico Eusebio". Il materiale epigrafico e archeologico di Alba Pompeia descrive la vita di una classe medio-alta, consistente numericamente, formata sia da gentes romane, sia da discendenti di origine celto-ligure. L'agricoltura e l'allevamento del bestiame erano le principali attività di una parte importante dell'élite di Alba Pompeia. Lo storico Gaio Plinio Secondo descrive già l'esistenza di una tecnica agricola applicata alla viticoltura, affinata ed evoluta. La città - cinta, all'epoca da grandi mura poligonali - ospitò l'imperatore Augusto in viaggio per le Gallie e diede i natali, nel 126, all'imperatore Pertinace. Nei periodi successivi alla dominazione romana vennero costruite le mura medioevali: da quelle gotico-longobarde a quelle post-carolingie; dopo le invasioni ungaro-saracene, nel periodo comunale avvennero altre ristrutturazioni. Il perimetro urbano rimase invariato fino all'epoca moderna. La storia di Alba registra la visita di San Dalmazzo, prima del 5 dicembre 254, data del suo martirio, aiutato da San Giovanni Presbiterio nella conversione dei pagani. Anche San Frontiniano[5], nativo di Carcassonne, compare ad Alba, sul finire del III secolo: di ritorno da un pellegrinaggio a Roma si ferma ad Alba e libera una ragazza dal demonio. Il prefetto della città, stranamente infuriato, lo cattura all'uscita di Alba e lo fa decapitare. Il retaggio di un'antica tradizione culturale, che riconosce San Frontiniano protettore dei bambini, ha portato le mamme dei bimbi ammalati a compiere per 9 volte il giro della chiesa dedicata al santo, supplicandone la guarigione. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, nel 490 la città venne saccheggiata dai Burgundi seguiti, nel 640, dai Longobardi di Rotari e dai Franchi di Carlo Magno, che crearono le condizioni per lo sviluppo del feudalesimo. A causa delle devastazioni subite e dei saccheggi si decise di scegliere il vicino paese di Diano come sede amministrativa perché, grazie alla sua posizione naturale, era più difficile da conquistare. Le successive incursioni dei Saraceni impoverirono a tal punto la diocesi di Alba che si giunse a sopprimerla e a unirla a quelle di Asti e Savona. Le mura medioevali della città rappresentavano un notevole sistema di difesa: costruite su un basamento alto oltre 2 metri, avevano mezzo metro di spessore, erano munite di contrafforti e torrioni, per tutto il loro perimetro erano circondate da un fossato. Le porte della città rispecchiavano le vie di accesso: a nord Porta Tanaro, a sud Porta San Martino, a est Porta del Soccorso o Porta Cherasca, a sud-est Porta San Biagio, a ovest porta Castello. Ogni porta disponeva di una o 2 torri, per il corpo di guardia e per i funzionari addetti alla riscossione dei pedaggi. Grazie all'espansione territoriale del comune, Alba vide il formarsi di 7 "Camparie" e 6 castelli, costruiti a formare una corona sulle colline adiacenti, con funzioni difensive. Nello stesso periodo in città vennero edificati monasteri, chiese, 6 ospedali. L'ospedale di San Lazzaro fu costruito per la cura dei lebbrosi e delle malattie infettive. Un'antica donazione obbligava a lasciare, ogni anno, 2 soldi astesi, oppure uno staio di vino, ai poveri infermi. L'ospedale del Santo Spirito del Ponte si trovava vicino alla Porta Tanaro e apparteneva ai canonici agostiniani dell'abbazia di Ferrania. L'ospedale di Sant'Antonio curava le malattie del fuoco sacro, malattia epidemica, all'epoca molto diffusa. Un quarto ospedale, dedicato a San Marco, si trovava nel luogo dov'è edificato il Cottolengo. Proprietari erano i frati gerosolimitani o cavalieri dell'ordine di San Giovanni di Gerusalemme. A questo periodo risale lo stemma di Alba in cui appare una croce rossa in campo argento. Nel 1259 Alba si alleò con Carlo I d'Angiò, riuscendo a gestire le controversie con la vicina Asti, ma il periodo era denso di rivalità e di mancate promesse, tra le famiglie dei Solari guelfe e ghibelline, che si contendevano il predominio sul territorio. Asti divenne "il nemico" per antonomasia, interessato a privare Alba del dominio sulla Valle del Tanaro. Emblema dell'epoca sono le torri, per di più utilizzate a carcere. Alcune di esse, a pianta quadrata, prolungano, nel tempo, il tipico aspetto medioevale della città. Nel XII secolo divenne comune e aderì alla Lega Lombarda. La maggior parte delle torri venne demolita nell'800; quella municipale venne abbattuta nel 1864; il materiale venne utilizzato per apportare modifiche all'edificio del Duomo. Il conflitto tra francesi e spagnoli, nella prima metà del '500, vide Alba teatro di scontri sanguinosi, situazione che si aggravò con l'arrivo in città, nel 1537, di Carlo V. La storia e le cronache di quegli anni registrarono numerosi scontri tra armate rivali, con gravi conseguenze su monumenti e opere d'arte, oggetto di devastazioni e saccheggi. Dopo la Pace di Cateau-Cambrésis del 1559, Alba venne ceduta ai Gonzaga di Mantova. Fu un periodo di pace relativa, anche se era impresa veramente difficile rimediare alle devastazioni che avevano impoverito il territorio. Altri danni vennero provocati da alcuni terremoti, avvenuti dal 1541 al 1549. Morto Francesco IV Gonzaga, Alba venne attaccata da Carlo Emanuele I di Savoia, che la pose sotto assedio, una prima volta il 23 aprile 1613; ma riuscì a espugnarla solo il 1º aprile 1628, dopo alterne vicende di scontri e scaramucce con i Gonzaga. Cessate le operazioni militari fu la volta della peste. Nel 1630 cominciarono a manifestarsi i primi sintomi, con conseguente calo demografico. Grazie alla nomina a provincia e con il rifiorire di fiere, feste e mercati - sospesi per decenni, a causa delle più diverse e disparate calamità - venne favorita una ripresa, che non durò molto, anche a causa delle interminabili guerre dinastiche del tempo. Quest'epoca vide fiorire una serie di attività letterarie e artistiche, tra le quali spicca l'Accademia filarmonico-letteraria, creata dal canonico Odella. Tale associazione poté vantare, nel corso dell'800, l'adesione di personalità illustri, quali Silvio Pellico e Giovanni Prati. Vennero costruiti anche nuovi edifici: l'ospedale di San Lazzaro, su disegni dell'architteto Di Robilant;, la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, ricostruita in base a un progetto del conte Carlo Emanuele Rangone di Montelupo; la chiesa di Santa Maria Maddalena, su disegni del Vittone. Grazie a un considerevole esborso in denaro (3.000 lire d'argento), nel 1742, la città venne investita del feudo di Santa Rosalia col titolo di "Contessa di Santa Rosalia". Grazie a lettere scritte, dal barone Giuseppe Vernazza, all'amico e conte Guido Gaschi, erudito e archivista, emerge un'interessante visione di vita albese tra il 1779 e il 1787. Il Vernazza - che. per ottenere il titolo baronale, spese fior di quattrini, con dispiacere del padre - osserva il mondo di quell'epoca con l'occhio del borghese, poco attento ai grandi eventi che stanno mutando l'Europa del tempo. Lo stesso Vernazza, appassionato di archeologia, fu protagonista di un rinvenimento importante: il recupero, nel letto del Tanaro, di un cippo scolpito da Caio Cornelio Germano e Valeria Marcella, reperto di conservato nel Museo d'Alba. Al termine del secolo la città conobbe la Rivoluzione francese e fu una delle prime a propugnare la fede giacobina, proclamandosi repubblica e accogliendo l'entrata di Napoleone Bonaparte il 28 aprile 1796. L'avventura francese fu di breve durata, provocò alcuni lutti, profanazioni di opere d'arte e di edifici storici; per esempio, la chiesa gotica di San Domenico venne convertita in scuderia. Alla città venne richiesto di contribuire, con 123.000 lire dell'epoca, alle spese militari dei francesi; cifra spropositata, per le finanze della città, per cui Alba inviò 2 ambasciatori a discutere del provvedimento, ma uno fu fucilato. Le predette ordinanze di contribuzione alle spese di mantenimento dell'esercito francese, unite ai saccheggi di opere d'arte, alle violenze fisiche nei confronti della popolazione e, soprattutto, all'introduzione della leva obbligatoria per i giovani di età superiore ai 19 anni, da arruolare nell'Armata napoleonica (il che privava le famiglie di braccia indispensabili al lavoro dei campi) esasperarono la popolazione e indussero molti albesi (com'era accaduto in altre località delle Langhe) ad abbandonare la città e a confluire nelle formazioni d'insorgenti, cosiddetti barbets, che tentavano di contrastare i soprusi commessi dall'esercito d'oltralpe. La ricostruzione della città, dopo le devastazioni della Rivoluzione francese, fu incominciata da Carlo Felice di Savoia, che portò all'edificazione il Monastero della Maddalena, provvedendo anche alla risistemazione della via che univa Alba con Savona, passando per Cortemilia. L'urbanista e architetto Giorgio Busca[6] fu l'artefice di tale progetto e di una serie di edifici: il Teatro Sociale, Palazzo Miroglio, Via Roma e Piazza Savona. Il Busca ricoprì anche la carica di sindaco, tra 1861 e '65; vide affermarsi la borghesia nascente, i commercianti, tecnici, i professionisti che, dopo il 1848, gradualmente occuparono le cariche pubbliche, dando impulso a numerose forme di Società di Mutuo Soccorso, tra le quali quella che, fondata nel 1851, aggregava artisti e operai. Dopo la prima guerra mondiale, senza entusiasmo la città convisse con il Fascismo, intraprendendo attività fieristiche di successo. I còche gruppi di giovani - furono iniziatori, in polemica con il Palio di Asti, di una competizione fra asini. La fiera del Tartufo nacque nel 1929. Alba, durante la seconda guerra mondiale fu proclamata "repubblica indipendente". Per 23 giorni (dal 10 ottobre al 2 novembre 1944) fu la prima repubblica partigiana costituitasi in Italia, ottenendo una medaglia d'oro al valor militare, per l'intensa attività partigiana, raccontata dallo scrittore Beppe Fenoglio. Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, il maresciallo dei carabinieri di Alba, Carlo Ravera, salvò dalla deportazione numerose famiglie di profughi ebrei, lì residenti in domicilio coatto dalla fine dell'agosto 1942. Invece di procedere al loro arresto, secondo gli ordini ricevuti il 2 dicembre 1943, ne favorì la fuga, con l'aiuto della moglie e di Beatrice Rizzolio, proprietaria del mulino locale. Per questo impegno di solidarietà, il 23 gennaio 1975, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito l'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni al maresciallo Carlo Ravera, alla moglie Maria Ravera e a Beatrice Rizzolio. Nel 1948 e, soprattutto, nel novembre '94, violente alluvioni, causate dal Tanaro e da alcuni suoi affluenti, devastarono alcune zone della città. Alba è tra le Città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale, insignita della Medaglia d'oro al valor militare il 12 ottobre 1949. La città marcò il suo contrasto con il fascismo fondando la Repubblica partigiana di Alba, esistita per 23 giorni nel 1944. Medaglia d'oro al valor militare nastrino per uniforme ordinari Medaglia d'oro al valor militare «Centro delle Langhe ha vissuto l'epopea della lotta partigiana contro l'oppressore nazifascista simboleggiando l'eroismo ed il martirio di tutta la Regione. Rettasi a libertà per un mese, era poi attaccata da preponderanti forze e, con unanime decisione di popolo, preferiva alla resa offerta dal nemico il combattimento a fianco dei suoi figli militanti nelle forze partigiane. Cosciente del sacrificio, fiera nella resistenza durante lunghi mesi di lotta, superbamente confermava il retaggio delle centenarie tradizioni di valore guerriero. Alba, 8 settembre 1943 25 aprile 1945» 2 ottobre 1949
"Capitale del Roero" storica ed affascinante città, patria del famosissimo Cheese, mercato del Formaggio che si svolge ogni 2 anni, dove arrivano da tutto il mondo produttori di formaggio. La Città viene letteralmente invasa da migliaia di turisti che vengono a assaggiare e a comprare i formaggi più particolari. A Bra è nato la Slow Food, Carlo Petrini è il suo fondatore. L' arte del mangiare piano o assaporare lentamente i cibi, questo è l' anima dello Slow Food. E anche la patria della famosissima " salsiccia di bra" inconfondibile salsiccia che si mangia cruda. Ricetta unica e prelibata che puoi solo trovarla nelle macellerie di Bra, una vera e propria delizia del palato.
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Bra
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"Capitale del Roero" storica ed affascinante città, patria del famosissimo Cheese, mercato del Formaggio che si svolge ogni 2 anni, dove arrivano da tutto il mondo produttori di formaggio. La Città viene letteralmente invasa da migliaia di turisti che vengono a assaggiare e a comprare i formaggi più particolari. A Bra è nato la Slow Food, Carlo Petrini è il suo fondatore. L' arte del mangiare piano o assaporare lentamente i cibi, questo è l' anima dello Slow Food. E anche la patria della famosissima " salsiccia di bra" inconfondibile salsiccia che si mangia cruda. Ricetta unica e prelibata che puoi solo trovarla nelle macellerie di Bra, una vera e propria delizia del palato.
Non ci sono notizie precise sulla nascita di Barolo, benché la zona fosse abitata in epoca preistorica da tribù celto-liguri, il primo insediamento effettivo sul territorio è di origine barbarica e risalente all'Alto Medioevo. Durante il dominio Longobardo dipendeva da Gastaldo di Diano, passo' poi sotto la Contea di Alba e successivamente sotto la Marca di Torino. Il nucleo originario del castello fu eretto in quel periodo da Berengario I, come difesa dalle scorrerie Saracene. Nel 1200 il paese viene citato nel Rigestum Comunis Albe con il nome di Villa Barogly. Nel 1250 la famiglia Falletti, acquisì tutti i possedimenti di Barolo dal Comune di Alba. I Falletti erano una potente famiglia di banchieri, esponenti della nuova borghesia, i quali segnarono il destino di Barolo e delle zone circostanti. Intorno al 1300 arrivarono a controllare fino a una cinquantina di feudi piemontesi. Nel 1486 Barolo entrò a far parte dello Stato Monferrino, passando poi nel 1631 ai Savoia con il trattato di Cherasco. Barolo divenne poi Marchesato nel 1730, il primo Marchese fu Gerolamo IV. Dopo Gerolamo IV ci furono soltanto altri due Marchesi: Ottavio Alessandro Falletti e Carlo Tancredi, alla morte di quest'ultimo governò sua moglie la Marchesa Juliette Colbert, la quale si distinse per la sua brillantezza e per le sue azioni a favore dei più deboli. Alla sua morte nel 1864 tra le sue volontà vi fu la costituzione dell'Opera Pia Barolo alla quale lasciò l'intero patrimonio di famiglia.
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Barolo, Piedmont
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Non ci sono notizie precise sulla nascita di Barolo, benché la zona fosse abitata in epoca preistorica da tribù celto-liguri, il primo insediamento effettivo sul territorio è di origine barbarica e risalente all'Alto Medioevo. Durante il dominio Longobardo dipendeva da Gastaldo di Diano, passo' poi sotto la Contea di Alba e successivamente sotto la Marca di Torino. Il nucleo originario del castello fu eretto in quel periodo da Berengario I, come difesa dalle scorrerie Saracene. Nel 1200 il paese viene citato nel Rigestum Comunis Albe con il nome di Villa Barogly. Nel 1250 la famiglia Falletti, acquisì tutti i possedimenti di Barolo dal Comune di Alba. I Falletti erano una potente famiglia di banchieri, esponenti della nuova borghesia, i quali segnarono il destino di Barolo e delle zone circostanti. Intorno al 1300 arrivarono a controllare fino a una cinquantina di feudi piemontesi. Nel 1486 Barolo entrò a far parte dello Stato Monferrino, passando poi nel 1631 ai Savoia con il trattato di Cherasco. Barolo divenne poi Marchesato nel 1730, il primo Marchese fu Gerolamo IV. Dopo Gerolamo IV ci furono soltanto altri due Marchesi: Ottavio Alessandro Falletti e Carlo Tancredi, alla morte di quest'ultimo governò sua moglie la Marchesa Juliette Colbert, la quale si distinse per la sua brillantezza e per le sue azioni a favore dei più deboli. Alla sua morte nel 1864 tra le sue volontà vi fu la costituzione dell'Opera Pia Barolo alla quale lasciò l'intero patrimonio di famiglia.
Il castello è da molti oggi considerato uno degli esempi meglio conservati di castello nobiliare trecentesco del Piemonte. Collocato a sommità della collina di Serralunga, a dominio del caratteristico borgo e delle sue famose vigne, in uno dei comprensori turistici più interessanti e di maggior sviluppo della regione, il castello è simbolo indelebile di questo paesaggio. All’epoca in cui i discendenti di Bonifacio del Vasto, Bonifacio Minore e Ottone del Carretto, nel XII secolo, erano i signori del territorio, una torre sovrastava e difendeva il borgo di Serralunga. Dagli inizi del XIII secolo sono attestati anche un’area di pertinenza signorile, difesa stabilmente, e un nucleo abitativo a carattere rurale, che sotto la dominazione della famiglia Falletti grazie ai suoi meriti militari entrò in possesso della parte di feudo di Serralunga del marchese di Saluzzo e fece abbattere la torre difensiva per lasciar posto al castello. Il castello svolse nel territorio più che un ruolo militare una funzione di controllo delle attività produttive locali, come dimostra la sua stessa struttura estremamente slanciata e tesa a sottolineare in questo modo il prestigio della famiglia Falletti. La residenza fin dal Trecento constava di diverse parti, tra cui in particolare il Palacium, blocco compatto e allungato costituito da vaste sale sovrapposte, una torre cilindrica, che presenta i caratteri più innovativi dell’architettura fortificata del Trecento, una torre quadrata ed una cappella, piccolo ambiente con volta a botte e affreschi databili alla metà del XV secolo. Il maniero non fu mai trasformato in residenza di villeggiatura e quindi mantenne inalterata per secoli la sua struttura di roccaforte medievale. Fu oggetto di interesse da parte di molti studiosi nell’Ottocento e venne iscritto nelle liste dei monumenti nazionali protetti dallo Stato, godendo così della tutela garantita dalle prime leggi per i beni culturali (L.185/1902,1089/1939). Nel secondo dopoguerra l’Opera Pia Barolo, istituita dagli ultimi discendenti della famiglia Falletti di Barolo, mise in vendita il castello che venne acquistato dallo Stato nel 1949: in quel periodo vengono avviati i primi importanti lavori di restauro. Il salone dei Valvassori è la sala principale del castello, caratterizzato dal bel soffitto a cassettoni. Il salone è ornato dagli antichi affreschi della cappella votiva, affreschi della metà del XV sec. raffiguranti il Martirio di santa Caterina d’Alessandria, affiancato dalla figura di san Francesco sulla parete di fondo ed è sormontato dal simbolo dell’Agnus Dei. La gestione è attualmente affidata alla Barolo & Castles Foundation, aggiudicataria del bando emesso dal Polo Museale del Piemonte.
Serralunga d'Alba
Il castello è da molti oggi considerato uno degli esempi meglio conservati di castello nobiliare trecentesco del Piemonte. Collocato a sommità della collina di Serralunga, a dominio del caratteristico borgo e delle sue famose vigne, in uno dei comprensori turistici più interessanti e di maggior sviluppo della regione, il castello è simbolo indelebile di questo paesaggio. All’epoca in cui i discendenti di Bonifacio del Vasto, Bonifacio Minore e Ottone del Carretto, nel XII secolo, erano i signori del territorio, una torre sovrastava e difendeva il borgo di Serralunga. Dagli inizi del XIII secolo sono attestati anche un’area di pertinenza signorile, difesa stabilmente, e un nucleo abitativo a carattere rurale, che sotto la dominazione della famiglia Falletti grazie ai suoi meriti militari entrò in possesso della parte di feudo di Serralunga del marchese di Saluzzo e fece abbattere la torre difensiva per lasciar posto al castello. Il castello svolse nel territorio più che un ruolo militare una funzione di controllo delle attività produttive locali, come dimostra la sua stessa struttura estremamente slanciata e tesa a sottolineare in questo modo il prestigio della famiglia Falletti. La residenza fin dal Trecento constava di diverse parti, tra cui in particolare il Palacium, blocco compatto e allungato costituito da vaste sale sovrapposte, una torre cilindrica, che presenta i caratteri più innovativi dell’architettura fortificata del Trecento, una torre quadrata ed una cappella, piccolo ambiente con volta a botte e affreschi databili alla metà del XV secolo. Il maniero non fu mai trasformato in residenza di villeggiatura e quindi mantenne inalterata per secoli la sua struttura di roccaforte medievale. Fu oggetto di interesse da parte di molti studiosi nell’Ottocento e venne iscritto nelle liste dei monumenti nazionali protetti dallo Stato, godendo così della tutela garantita dalle prime leggi per i beni culturali (L.185/1902,1089/1939). Nel secondo dopoguerra l’Opera Pia Barolo, istituita dagli ultimi discendenti della famiglia Falletti di Barolo, mise in vendita il castello che venne acquistato dallo Stato nel 1949: in quel periodo vengono avviati i primi importanti lavori di restauro. Il salone dei Valvassori è la sala principale del castello, caratterizzato dal bel soffitto a cassettoni. Il salone è ornato dagli antichi affreschi della cappella votiva, affreschi della metà del XV sec. raffiguranti il Martirio di santa Caterina d’Alessandria, affiancato dalla figura di san Francesco sulla parete di fondo ed è sormontato dal simbolo dell’Agnus Dei. La gestione è attualmente affidata alla Barolo & Castles Foundation, aggiudicataria del bando emesso dal Polo Museale del Piemonte.